Riprendo da dove mi ero interrotto alcuni mesi fa, e cioè dalla definizione di Hugo Pratt: “Il fumetto è letteratura per immagini”. Allo stesso modo, come già scritto altrove, è interessante prendere in considerazione il pensiero di Igort: “Il fumetto è un linguaggio che, ad oggi, si è espresso al 5% delle sue potenzialità”. Vero. Queste due affermazioni, fra le più importanti se parliamo di graphic novel, ma anche del “semplice” e comune fumetto, sono decisive e oggi in l’Italia, paese che finalmente esce dal torpore editoriale (solo da quello, ben inteso…) e le case editrici sfornano titoli su titoli di opere illustrate, acquistano senso e significato specifici. Un buon esempio di quanto affermato è l’opera, fresca di stampa per il medio editore romano Nottetempo (ha davvero un ottimo catalogo di narrativa), “Tamara Drewe”, dell’illustratrice inglese Posy Simmonds, classe 1945, già autrice di “Gemma Bovery” e attualmente impegnata con una serie strisce per il Guardian e il Sun. L’opera è stata edita, in Italia, ai primi di gennaio in concomitanza con l’uscita nelle sale dell’omonima pellicola. Diciamolo subito: il volume cartaceo è, di fatto, una sceneggiatura ben dettagliata (per il tipo di narrazione e di taglio artistico) e il film, dunque, ne guadagna perché chi lo vede dopo aver letto il libro vi si ritrova, stessa cosa per chi compie il processo inverso (pochi a dir la verità….).
Si tratta di una commedia “all’inglese” sul modello di “Quattro matrimoni e un funerale”, per citare la più famosa e commerciale degli ultimi anni; in ogni caso, una commedia in perfetto stile inglese con tutto ciò che ne fa la cifra distintiva: personaggi comici e caratteristici, moda vintage, campagna sospesa in un eterno presente che potrebbe essere valido dagli anni ’60 ad oggi, una storia d’amore e di tradimenti che si caratterizza per l’ambiguità e la paradossalità delle situazioni. Unico segno di novità, come anche i commentatori hanno rivelato (ottima la recensione di Curzio Maltese su Repubblica), è il personaggio femminile di Tamara, la protagonista. Se, infatti, prendiamo il 5 % di cui parla Igort e lo valutiamo notiamo che la donna, nel fumetto, è stata utilizzata ed esplorata al 2 % della cifra complessiva di cui parla Igort... e sono ottimista. Se escludiamo il ruolo di comprimaria, quello di super eroina con forme femminili, ma con carattere e attributi maschili (speriamo che la Marvel, con la nuova donna che prenderà il posto de La Torcia ne I Fantastici 4, faccia questo salto di qualità, necessario quanto indispensabile oggi…), o comunque il ruolo di tentatrice, donna fatale, porno eroina più o meno emancipata, alla donna non è stato mai attribuito uno spazio proprio, neppure nel mondo del fumetto dove, è cosa nota, tutti trovano un ruolo: dai nani ai ballerini, dai cani ai gatti, dai fantasmi ai vampiri e così via… Tamara, invece, è un personaggio femminile a tutto tondo: protagonista senza essere leader, ma neppure co-protagonista dei maschietti che animano la sua vita. Anzi. Di fatto, questi (e son parecchi) sono diversivi che occupano un ruolo - ogni volta diverso - nell’attesa che la scelta di Tamara trovi la sua direzione. I maschietti si arrovellano, mossi, come spesso accade, dal suo volto nuovo (da piccola Tamara aveva un naso immenso, un vero “becco”, ma ora la plastica lo ha reso decisamente migliore…), dal suo seno tondo, e sodo, e dal suo sedere perfetto: insomma, è chiaro, i tre desiderata per eccellenza di ogni buon uomo che si rispetti, pur se inglese e scrittore, abitante di una lenta e solitaria campagna. La vicenda, infatti, è ambientata in un agriturismo (diciamola all’italiana per capirci) di proprietà di un famoso scrittore inglese che assomiglia, all’apparenza, a Ken Follett, ma che scrive libri alla Sveva Casati. Lui e la moglie – spesso cornuta, ma pronta a perdonarlo ogni volta, per amore e interesse – sono proprietari di questa struttura dove possono soggiornare scrittori e studiosi per terminare i loro lavori. Pace e serenità sono garantiti. La casa vicina, abbandonata da tempo, è quella di Tamara che, orfana, decide di tornare all’improvviso… Il resto lo lascio in sospeso perché si tratta davvero di una buona storia che merita di essere letta e seguita (con dell’ottimo rum e un buon disco di pianoforte in sottofondo… leggero, ma brillante).
Il regista del film, Stephen Frears, scrive: “Il mondo di Posy è un mosaico di campi, staccionate e mucche, di arguzia e complessità, di umorismo e tragedie, di personaggi che sono insieme ridicoli e adorabili. Le sue battute sono grandiose, il modo in cui disegna è essenziale, preciso e stimolante, la sua intelligenza è formidabile. Che altro c’è nella Vita?”. Bhe, non è poco, è vero. Il problema è che queste parole calzano a pennello per quest’opera. Il tratto ricorda il BD francese, su tutti Jacques Tardi, ma anche l’essenzialità di Schultz (ma anche un poco il nostro Staino). La scuola della striscia (formato in cui apparve, in origine, parte dell’opera) è evidente e aiuta a dare quella modernità narrativa che è strutturale al personaggio Tamara: una donna contemporanea che si ritrova in campagna, ma che non vuole affatto diventare “di” campagna, ma restare quello che è pur se in ambienti diversi. Ecco che lo stile della Simmonds non stona mai perché Tamara resta donna metropolitana, pur se si immerge nella campagna (bella la scelta del monocromatico in alcuni passaggi, che spinge verso l’ambientazione mono coloro delle città moderne in giorni di pioggia) e ci convive senza diventarne parte. Sono di fatto i “suoi” uomini che inseguono lei e cercano di adattarsi a qualcosa che sfugge loro; non è solo concubina e neppure accompagnatrice raffinata: è eros senza essere solo sesso, ma è anche desiderio senza essere possesso sfrenato.
L’altra peculiarità di questo lavoro, che mi fa pendere dalla parte di Hugo Pratt e della sua definizione, è che, di fatto, questa è un’opera ibrida. C’è molto disegno, semplice ed essenziale, ma c’è anche molto testo. Il risultato però non è né un romanzo illustrato (perché lo scritto c’è, ma non è abbastanza per essere pre-dominante), né una versione a fumetti di un libro. È, senza dubbio alcuno, un UNO, se teniamo valida la definizione proposta da Wu Ming nel suo “New Italian Epic”, e cioè un’opera non identificabile e incasellabile in categorie date, ma qualcosa di nuovo che va vissuto e accettato per quello che è (fa parte di quel 95% che resta da esplorare…). Forse, se proprio si vuole trovare una categoria, si può parlare di opera cinematografica su carta di cui però, a mio avviso, la versione in celluloide è naturale protesi: non perché ne dica qualcosa in più o ne completi ciò che manca, ma perché i due prodotti funzionano, in autonomia, pur formando un dittico difficilmente scindibile, ma formato da elementi autonomi di fatto. La fedeltà dell’uno all’altro, infatti, è l’evidente sintomo di questa nostra posizione. Non è un caso, dunque, che il Festival di Cannes (che tutto è fuorché sensibile al cinema inglese, anzi…) gli abbia attribuito commenti lusinghieri, come è accaduto all’opera cartacea al Festival Internatioanl de la bande Dessinée del 2009.
“Tamara Drewe” si colloca nella piacevole strada in salita della sperimentazione classica, altro ibrido, senza dubbio. Da un lato è qualcosa di nuovo, quanto meno per il mercato italiota (non di certo per quello europeo), ma è anche una direzione che la graphic novel ha da tempo preso (penso a Gipi e allo stesso Igort, solo per citare due nomi, ma il catalogo Coconino, come quello di Nuages, son pieni di opere di questo genere). La novità è nel ruolo della donna e, se riesco a farlo emergere, dallo stile classico utilizzato e ricercato perchè necessario per far germogliare questa novità (che nuova non è però…) della figura femminile. Insomma, il nuovo di cui si parla non è davvero tale, ma da sempre iscritto nella donna, ma mai fatto emergere perché, sia chiaro, non lo si è voluto ad oggi... Quale mezzo migliore, dunque, se non una narrazione classica, ma moderna, e uno stile pulito, semplice, quasi datato, per raccontare questa modernità che è tale, dunque, solo per alcuni occhi e alcune menti? A mio avviso, in conclusione, l’esperimento è riuscito, e molto bene. Buona lettura.
Strupi
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